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Un voto solo apparentemente incoerente. L'analisi del voto comunale di Fabio Calugi

 

mercoledì 29 maggio 2019:

Un voto solo apparentemente incoerente e sconclusionato quello che, nella giornata di domenica 26 maggio, nei comuni dell’Empolese e del Valdarno ha visto prima il nettissimo successo della Lega di Salvini alle consultazioni europee e poi una altrettanto netta riconferma delle amministrazioni locali uscenti a guida PD.


Anche a Fucecchio si è registrato un sorprendente trionfo leghista nello scrutinio delle schede rosa per le elezioni europee, con il movimento di Salvini che diventa il primo partito cittadino con un roboante 37% dei voti che, accompagnato dalla crescita di FDI e da una comunque consistente sopravvivenza politica di FI, assegna al “centrodestra classico” quasi la metà dei suffragi su base comunale, staccando notevolmente PD ed alleati e ridimensionando drasticamente i consensi del M5S (che era uscito benissimo dalle consultazioni politiche del marzo 2018 e che poteva vantare pure una candidatura fucecchiese docg nelle sue liste, quella
della brava consigliera comunale uscente, Lisa Giuggiolini).


Davanti a tali numeri, che testimoniano comunque un orientamento politico locale profondamente mutato in termini di sensibilità e di priorità avvertite dalla cittadinanza, in molti si aspettavano di assistere a un terremoto nello spoglio delle urne amministrative. Ma il terremoto (che sarebbe dovuto andare a vantaggio dell’opposizione di destra, trainata dalla pimpante Lega), non solo non c’è stato, ma è stato soppiantato da una spinta altrettanto poderosa in senso opposto, con un inaspettato rafforzamento della giunta Spinelli e degli stessi esponenti PD che la rappresentavano e la sostenevano.


A ben vedere, nonostante l’indubbia curatissima presenza pubblica del Sindaco, non si può parlare di “Effetto Spinelli”, perché quello che si è verificato a Fucecchio non è un caso isolato, ma ha rispecchiato una dinamica che, con diversa intensità e diverse peculiarità locali, si è registrata in quasi tutti i comuni al voto nell’area dell’Empolese e del Valdarno: dove – con la parziale ma comunque vittoriosa eccezione di Montopoli – tutte le giunte uscenti sono state riconfermate rovesciando i risultati squisitamente politici delle Europee e conseguendo addirittura consensi superiori a quelli da loro ottenuti nel 2014.


Una spiegazione razionale di questo fenomeno non soltanto fucecchiese, a mio avviso, va ricercata nella netta diversità delle logiche elettorali di una consultazione amministrativa locale rispetto a quelle che caratterizzano, invece, le classiche urne politiche nazionali (peraltro, anche con sviluppi del tutto particolari, come nel caso delle Europee: che da sempre premiano oltremodo le leadership di punta del momento, soprattutto se governative, anche con numeri iperbolici ma spesso poco solidi… Renzi docet!).


Nelle elezioni comunali, infatti, cambiano le liste in competizione: quelle che rappresentano l’offerta politica; cambia anche la domanda politica, data dalle priorità degli elettori che, soprattutto dopo il crollo dei vecchi partiti ideologici, votano principalmente non guardando ad appartenenze e ideali condivisi ma sulla base di conoscenze personali se non della mera notorietà degli esponenti politici cittadini; cambiano i meccanismi elettorali (soprattutto quando si presenta la possibile ipotesi ballottaggio); e, specialmente in una zona come la nostra, cambia enormemente la competitività di base dei partiti: con le forze politiche che da sempre controllano i gangli del potere locale che inevitabilmente partono in vantaggio rispetto a quei partiti e movimenti che, per motivi storici ed ambientali, non sono presenti in maniera strutturata e
radicata sui territori.


Banalmente, il centrosinistra locale ha saputo sfruttare al massimo questo vantaggio comparato per ottimizzare i propri risultati nella competizione elettorale che più stava loro a cuore. PD e alleati, sfruttando intelligentemente il coinvolgimento strategico di importanti componenti civiche, hanno scelto quasi ovunque un profilo politicamente dimessissimo che evitasse alla classe dirigente locale di muoversi sotto il peso dello scarso appeal attuale del partito. Per questo, nonostante i noti ostentati richiami alle virtù europee propri della loro propaganda, PD e progressisti locali hanno accuratamente evitato di impegnarsi nella campagna elettorale per il Parlamento Europeo: pochissimi gli eventi pubblici di una certa rilevanza organizzati per lanciare i candidati PD verso Bruxelles… e, conseguentemente, pochissime le preferenze espresse in ambito europeo dal pur largo seguito dei democratici di zona (impietoso il confronto con i dati di 5 anni fa). Liberi dai condizionamenti di un siffatto impegno politico nazionale, i democratici locali hanno potuto dedicare tutte le loro energie al dialogo diretto con l’elettorato per il rinnovo delle cariche amministrative (core business e base sociale di riferimento per tutta quell’area politica), raccogliendo istanze territoriali, proposte programmatiche ed appoggi personali, senza vincoli ideali di sorta. Il tutto rafforzando il già fin troppo robusto legame con associazioni, ambiti ricreativi e realtà paesane, di impostazione fondamentalmente apolitica ma spesso ricondotte di fatto in orbite operative facilmente controllabili dal potere politico-amministrativo. Peraltro, questa evoluzione iperlocalista e dai contorni politico-ideologici sfumatissimi, non appare una novità assoluta, ma si configura, piuttosto, come il secondo tempo della mutazione genetica del potere locale già iniziata cinque anni fa, con la fulminea epopea renziana (che, non a caso, proprio in queste zone aveva la sua roccaforte in termini consensuali e di espressione della classe dirigente) che aveva portato l’allora “nuovo” PD post-rottamazione a monopolizzare il rapporto con il mondo dell’associazionismo e con i più rilevanti ambienti economici-produttivi di zona, soppiantando in tali ambiti la già minoritaria presenza del vecchio cdx (se non
inglobandone direttamente alcuni ambiziosi esponenti di primissima linea).


Altrettanto banalmente, la destra di Lega ed alleati non ha messo nel giusto conto queste diverse implicazioni che differenziano il voto locale da quello politico nazionale e, perciò, non ha saputo prendere le contromisure rispetto alla pur preventivabile coriacea resistenza alla loro scalata da parte del centrosinistra locale. Dal fronte di opposizione si è creduto in troppo facili ed inverisimili ripercussioni locali del mutato clima politico generale. Ed in tale ottica gli esponenti del centrodestra dell’Empolese e del Valdarno, confidando nella spinta dall’alto, hanno ritenuto che potessero passare come peccati veniali i tanti ritardi e gli eccessivi tatticismi che hanno portato – come tradizione – ad una campagna elettorale nei vari comuni ridotta alle ultime settimane, con annessa superficiale e penalizzante presentazione di candidati sindaci e consiglieri. A parziale scusante per costoro va detto che, nonostante si faccia riferimento
al perimetro politico del cosiddetto “centrodestra classico”, la coalizione data dalla Lega salviniana, FDI, FI e movimenti moderati minori, di “classico” e di tradizionale ha ben poco. Si tratta infatti di un agglomerato politico decisamente giovane e nuovo a livello di equilibri interni e di elaborazione politica. La trainante Lega e FDI sono formazioni politiche in costruzione, con un radicamento territoriale ancora da definire, mentre FI, che esprimeva la maggior parte della classe dirigente uscente dai banchi di opposizione, deve ancora trovare un suo nuovo profilo dopo il drammatico ridimensionamento subito negli ultimi anni.


Tutte queste dinamiche politiche generali sono visibili in modo esemplare nel voto fucecchiese.
Benché impetuoso e portatore di nitidissime istanze politiche che comunque la futura amministrazione cittadina non potrà assolutamente sottovalutare, il consenso leghista non ha potuto divenire in strumento per il governo della città, non riuscendo a trasformarsi nei giusti tempi in proposta politica presente e visibile nei vari ambiti vitali della realtà fucecchiese. Né le altre componenti della cultura politica dell’opposizione di centrodestra, per quanto ottimamente rappresentate dalla preparazione e dai modi eleganti dell’avvocato Sabrina Ramello, hanno saputo andare oltre i vecchi modelli di controproposta politica delle pur cospicue minoranze fucecchiesi (quelli risultati sempre perdenti).


Dal canto suo, il PD spinelliano, dedicandosi esclusivamente al dialogo con la cittadinanza e alla cura dei momenti aggreganti della fucecchiesità, e riducendo al minimo l’esposizione sui temi squisitamente politici (ma anche penalizzantemente divisivi), ha saputo coltivare una bolla di consenso che ha retto agli attacchi da parte degli avversari. La maggioranza di centrosinistra ha saputo fare rete assorbendo pezzi di opinione pubblica in realtà poco allineata (se non decisamente distante) sia valorizzando il pluralismo interno alla lista PD che sfruttando al massimo la strategia dell’asse con le liste civiche. Su tutte a risultare decisiva è stata quella denominata “Orgoglio Fucecchiese” che, nel modo più a-politico possibile, ha offerto il brand
all’intera campagna elettorale di Spinelli, anticipando sui tempi e arginando sui toni i tradizionali spunti “localistici” della propaganda leghista (quelli delle felpe con il nome delle città).

Ad aiutare Spinelli, oltre alla scarsa solidità della generosa ma tardiva proposta del M5S (solitamente competitor estremamente pericoloso per il PD, stante la vicinanza degli elettorati di riferimento), è stata anche l’enorme frammentazione delle tante liste antagoniste, che – come altre volte nel passato – ha finito per indebolire la forza di una possibile alternativa. Il grande sforzo di sensibilità e di impegno squisitamente politico da parte di Manuele Vannucci e l’iperattivismo civico di Valentina Carmignani non avrebbero meritato, però, di finire così ingenerosamente sottodimensionati dal cinico peso del “voto utile”

Fabio Calugi

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